Il calderone nero by LLOYD ALEXANDER

Il calderone nero by LLOYD ALEXANDER

autore:LLOYD ALEXANDER [stevenlob]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2007-02-09T19:24:21+00:00


La pioggia si fece un po' meno fitta prima del tramonto. Sebbene fossero gelati ed inzuppati fino alle ossa, i compagni avevano percorso lo stesso un buon tratto di strada quando finalmente Taran concesse un altro periodo di riposo. Dinnanzi a loro si stendeva una grigia e cupa brughiera, costellata di crepacci scavati dal vento e dall'acqua e che somigliavano a gigantesche dita. Si accamparono in una stretta gola, lieti di dormire sia pure su un terreno tanto fangoso. Taran dormì di un sonno leggero, una mano intorno al-la spilla, l'altra stretta sull'elsa della spada; nonostante la faticosa cavalca-ta, infatti, il giovane era meno stanco di quanto si sarebbe aspettato, e si sentiva percorso da una strana eccitazione, diversa da quella provata a Ca-er Dallben quando il vecchio mago gli aveva donato la spada. Nonostante questo, anche quella notte i suoi sogni furono cupi ed agitati.

Alle prime luci dell'alba, i compagni si rimisero in cammino, e Taran parlò con Eilonwy dei sogni fatti.

«Non riesco a dare loro alcun senso» spiegò, esitante. «Ho visto Ellidyr in mortale pericolo, ed al tempo stesso mi sembrava di avere le mani legate e di non poterlo aiutare.»

«Temo che soltanto nei sogni riuscirai a vedere ancora Ellidyr» replicò Eilonwy. «Non abbiamo trovato traccia del suo passaggio da nessuna parte: per quel che ne sappiamo, potrebbe essere già stato a Morva ed essere ripartito, oppure potrebbe anche non aver mai raggiunto le paludi. È un ve-ro peccato che tu non abbia sognato un modo più facile di impadronirsi del calderone e porre fine a tutta questa storia. Ho freddo, sono bagnata ed a questo punto comincia a non interessarmi più chi ce l'abbia.»

«Ho sognato anche il calderone» ammise Taran, in tono ansioso. «Ma era tutto confuso ed annebbiato. Mi sembrava che lo avessimo trovato. Pe-rò, quando lo abbiamo trovato, ho pianto.»

Per una volta, Eilonwy non seppe cosa rispondere e Taran non ebbe la forza di parlare ancora del sogno fatto.

Poco dopo mezzogiorno raggiunsero le Paludi di Morva; Taran aveva percepito la loro vicinanza già da un po', perché il terreno si era fatto spu-gnoso ed infido sotto gli zoccoli di Melynlas. Aveva anche visto altri uccelli palustri, e, in lontananza, aveva udito il richiamo malinconico del tuf-falo, mentre corde di nebbia, che si contorcevano e strisciavano come serpenti bianchi, avevano cominciato a sollevarsi dal terreno malsano. Il gruppo si arrestò e rimase in silenzio ad osservare lo stretto collo d'ingres-

so alla palude che, a partire da quel punto, si stendeva ininterrotta fino all'orizzonte. La vegetazione dominante era costituita da grosse macchie di ginestra spinosa, mentre gli alberi erano scarsi e stentati. Sotto il cielo grigio, chiazze d'acqua stagnante tremolavano fra le foghe morte e le canne spezzate, ed un fetore di antica decomposizione aggrediva le narici. Nell'aria tremolava un'incessante vibrazione lamentosa. Gurgi aveva gli occhi rotondi per il terrore, ed il bardo si spostò un po' sulla sella, a disagio.

«Sei stato abile a condurci fin qui» commentò Eilonwy. «Ma come speri di riuscire a trovare un



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